Le origini
E’ la frazione più settentrionale del Comune di Povoletto, quella più ricca di storia antica e medioevale e quella che, per la bellezza del territorio circostante e per la dinamicità della popolazione era la più conosciuta nei dintorni.
Il suo territorio è formato a nord da colline coltivate a vite e da estesi boschi cedui, a sud da una fertile campagna condotta a cereali e foraggiere, ad est dal vicino corso del torrente Malina e ad ovest dal fiume-torrente Torre. Il paese e la sua campagna sono attraversati dalla roggia Cividina, estratta dal Torre almeno dall’ XI secolo che, creando quadri acquatici di rara e suggestiva bellezza lungo il suo sinuoso percorso, corre fino all’agro cividalese (terre di Remanzacco, Buttrio e Manzano) per muovere le ruote di numerosi mulini e altri opifici idraulici e per rifornire d’acqua estese coltivazioni. Altri pittoreschi panorami sono offerti dall’irto colle della Motta sul quale venne eretto il famoso castello che poi divenne il feudo dell’influente famiglia dei Savorgnan, dalla suggestiva e verdeggiante valle del rio Maggiore, dall’alto Pecol de Semine e dalla sua inconfondibile Cengle (naturale anfiteatro eocenico) trasformati agli inizi del Novecento in magnifiche aree messe a vigneto con il sottostante bosc Rojâl che forniva i tronchi necessari ai ripari dalle rogge di Udine.
Il paese è addossato alla fascia collinare (dalla quale si può vedere l’estesa piana verdeggiante ed a sole sei miglia il colle incasellato e la città di Udine) con la slanciata chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo e le case dei borghi originari costruite con i ciottoli del Torre sapientemente spaccati dagli anziani, che nella bella stagione ospitavano tante osterie private, dove anche all’ombra di ombrosi pergolati situati in pittoreschi cortili padronali si smerciavano i famosi vini prodotti sulle colline del paese.
Superata la gran miseria dei secoli precedenti, nei primi anni del Novecento il paese divenne molto attivo e si dotò di un forno rurale, di una latteria turnaria, di una banca, di una cooperativa, di alcune botteghe artigianali, della scuola elementare e di una locanda (ex filanda e raccolta di bozzoli) e negli anni Quaranta dello stesso secolo anche di un ambulatorio medico, di un asilo infantile e perfino di un cinema per il sabato e la domenica.
Il paese funzionava, anche perché era spronato dagli effetti benefici che seguirono la grande bonifica della collina pensata e realizzata nei primi anni del Novecento dal pioniere tricesimano Giovanni Sbuelz che in tal modo collegò anche gli interessi, il commercio, le tendenze di Savorgnano verso l’area d’influenza di Tricesimo; anche per questo nel 1956 un Consorzio formato dai comuni di Povoletto, Reana e Tricesimo costruì il primo ponte sul Torre che sostituendo la precedente precaria passerella, permise un collegamento diretto ed efficace fra Tricesimo (ed il comprensorio morenico) con Savorgnano, le valli di Attimis e Faedis ed il mandamento di Cividale.
Un secondo momento di sviluppo, infatti, il paese lo ebbe fra gli anni Cinquanta e Sessanta anche per l’opera del parroco don Luigi Ciani che potenziò l’asilo infantile, creò il cinema e la sala polifunzionale, realizzò numerosi lavori in chiesa e animò la comunità; allora Savorgnano, divenne un centro dinamico della sinistra Torre con numerosi servizi (fra cui due mulini, un forno, una pesa pubblica e un servizio di autonoleggio), attività agricole e artigianali e uno dei centri enologici più ricercati del Friuli collinare, conosciuto e frequentato anche attraverso l’annuale Festa del vino (sorta già nel 1932) e le numerose rivendite private.
Villa Savorgnan
Dopo la presa del famoso castello e l’abbandono della proprietà della Motta, verosimilmente nel secolo XVI i Savorgnan della Bandiera costruirono sulla collina a levante del paese di Savorgnano, lungo la strada che conduceva a Cortevecchia e ad Attimis, un nuovo palazzo fortificato di abitazione, che sarà la sede del feudo e che passerà durante i secoli nelle mani dei vari rami della famiglia fino al 1912, quando sarà venduto a privati da parte dell’ultimo discendente dell’illustre casata, Tristano Savorgnan, che lascerà per sempre Savorgnano per trasferirsi in Piemonte. Oltre che da abitazione, la villa fortificata era sede dell’amministrazione del potente feudo che dai confini di Nimis arrivava fino al torrente Torre e alle Marsure ed aveva giurisdizione sulle stesse acque della roggia Cividina che allora finiva nel Malina presso Remanzacco.
L’edificio, oggetto di una ristrutturazione dopo il sisma del 1976, si presenta formato da un corpo centrale, da due ali laterali più basse affiancate da edifici rustici e dalla cappella gentilizia dedicata all’Annunziata. Agli stessi edifici rustici era incorporata una torre verso occidente, mentre quella ad oriente del complesso fortificato (e che servì anche da prigione nell’amministrazione giudiziaria di I° e II° grado esercitato dai Savorgnan) è ancora visibile dalla pianura e subito rende riconoscibile la storica sede della potente famiglia nel paese che diede loro il nome.
La chiesa parrocchiale
Alla fine dell’Ottocento la comunità di Savorgnano, che contava oltre 1100 abitanti, aveva la necessità di una nuova chiesa, in quanto quella esistente risalente al Quattrocento poteva contenere al massimo un centinaio di persone. Dopo diverse diatribe e tentativi, nel 1904 Monsignor Angelo Noacco consegnava a don Romano Perini il progetto definitivo della nuova chiesa di San Michele.
Così, non senza difficoltà, dopo la votazione popolare per l’individuazione del sito e la prima raccolta di fondi, la benedizione e la posa della prima pietra della nuova chiesa avvenne il 19 gennaio 1905, dopo che la vecchia chiesa e l’attigua canonica vennero demolite a mano da decine di persone per far posto al nuovo edificio di culto.
Dal giorno in cui si dette inizio alla costruzione, tutto il paese contribuì direttamente con manodopera e denaro, lo slancio fu grande ed ammirevole. Le strutture portanti vennero edificate con il contributo quasi totale della popolazione, nella quale si trovavano validi muratori e carpentieri, utilizzando tutte le pietre ricavate dalla demolizione della vecchia chiesa, della quale vennero anche recuperati i tre altari in marmo e le statue di ornamento. Sabato 20 dicembre 1910 avvenne la solenne consacrazione da parte dell’allora Arcivescovo di Udine, Anastasio Rossi,
Il Pecol di Semine e la Casa Rossa
Dalle colline di Savorgnano si può ammirare uno stupendo panorama costituito in particolare, verso sud, dalla vasta piana, ultimo lembo della pianura padana, che si estende fra coltivazioni, paesi, la città di Udine, fiumi e torrenti, fino al lontano filo azzurro del mare, che nelle giornate trasparenti si può nettamente scrutare dal colle più alto, il Pecol di Semine (m. 306 s.l.m.). Questa elevata collina ed il comprensorio circostante, un tempo boscose, nei primi del Novecento vennero bonificate ad opera di Giovanni Sbuelz, di Tricesimo (uomo dinamico, appassionato agricoltore ed amante della vita agreste, chiamato dai savorgnanesi il Sire e Costantin) e trasformate in una pittoresca vallata coltivata a vigneti e frutteti, servita da una efficiente rete stradale, nonché da un ingegnoso sistema di cisterne e vasche per il rifornimento idrico. Sul Pecol di Semine, sommità dell’altura che domina la valle del Torre e del Malina, Chino Ermacora, il cantore del Friuli, volle collocare, all’ombra di secolari querce, una lapide in pietra bianca di Torreano che ricordasse la grandiosa opera dello Sbuelz (che allora gli valse l’ambito e raro titolo di Cavaliere del Lavoro del Regno d’Italia), insieme all’esaltazione del vino e del significato della vita.
Così, in una splendente sera dell’agosto 1937, sull’alto colle venne solennemente inaugurato il cippo, alla presenza di numerose personalità politiche, intellettuali, artisti ed al poeta Diego Valeri. Sulla stele vennero scolpiti alcuni versi del grande poeta persiano Omar Kayyam:
Un libro di versi, una giara di vino / un pezzo di pane, un ramo ombroso e sotto questo , la donna amata che canta nella solitudine / oh solitudine, bene veramente divino.
La bonifica Sbuelz era servita anche da tre grandi depositi con stalle per animali (il magazin, il stalon di ca e il stalon di la) disposti in punti strategici dell’estesa tenuta e dalla villa di residenza del Sire con annessa casa dei coloni, costruita a mezza costa. La villa, elegante e slanciata, era di due piani e di colore rosso (per questo veniva chiamata “la Casa Rossa” ed era inconfondibile ed immediatamente riconoscibile anche a distanza) circondata da un ombroso parco e da un prospiciente belvedere ornato di rosai e dotato di gazebo, dal quale si poteva ammirare lo stupendo panorama che si dilata dal Collio alle alture moreniche con il vicino paese di Savorgnano, il corso azzurro del Torre e, al centro, proprio di fronte, il colle incastellato e la città di Udine.
(sintesi tratta dai libri di Mario Martinis Terra di Povoletto (1980), Savorgnano e la Chiesa di San Michele (1987), Savorgnano: Storia per Immagini (2011) e Storia di Povoletto (2015).